venerdì 31 maggio 2019

Un processo del 1572 per incendio doloso di un bosco comune

In collina tra San Biagio della Cima (IM) e Soldano

Boschi comuni, comunaglie, legnami erano un patrimonio pubblico tutelato ma con forze non sempre adeguate specie contro gli Incendi dolosi. Nel "Capitanato di Ventimiglia" nel 1572 si tenne, ad esempio, un processo contro un certo Giovanni Maccario, poi condannato, figlio di Nicolò reo d'aver dato fuoco ad un "bosco comune" (ora detto di Passal'orio, ora di Passalovo, ora di Passalupo) per inglobarne, acquistando poi dal fisco a prezzo ridottissimo i terreni arsi e inutili, gran parte nelle proprietà paterne.






Airole (IM)
Trascrizione documentaria dalla Storia della Magnifica Comunità degli Otto Luoghi (1986) di Bartolomeo Durante e Ferruccio Poggi)

 da Cultura-Barocca



sabato 25 maggio 2019

Quelle trote del Roia

Ventimiglia (IM), oggi
Aprosio cerca di rivalutare, contro una vetusta opinione pubblica ed erudita, la nomea di Ventimiglia ritenuta città insalubre oltre che provinciale, nomea aggravata dal fatto che per le tracimazioni di Roia/Roya e Nervia la malaria è assai diffusa tanto che i benestanti specie in estate preferiscono lasciare la città per ritirarsi nei loro possedimenti della frazione di Latte, certamente dall'habitat migliore 

Ciò gli riesce difficile pur come si dice "arrampicandosi sugli specchi" dacché troppi hanno criticato il clima della città sì che lui stesso iniziandone la descrizione deve rifarsi ad un luogo comune scrivendo "[Ventimiglia] Giace sù la falda d'un promontorio imboccata dal vento Siloco, od Euro, il quale venendo a morire in essa, impedito daa monti vicini di passar'oltre, cagiona, che i di lei Cittadini godano aria poco salubre: cosa comune a più d'un luogo della Riviera. Non è però così cattiva, quanto altri se la figurano, e si predica da molti che pure la videro dalla lontana. Non si può negare che molti de' forastieri che ci vengono ad habitare, ci ritrovino la Sepoltura: mà sono di quelli che non si vogliono ricordare ddell'insegnamento del Savio nel Predicatore Cap. VII,. 18. Noli esse stultus, ne moriaris in tempore non tuo, facendo disordini nel mangiare e nel bere che ammazzerebbero un cavallo". 

Con un procedimento chiaramente erudito e funambolico, attribuendo le morti agli eccessi esistenziali, non può evitare di menzionare il vescovo Promontorio che giunto a reggere la Diocesi si ammalò gravemente dopo quattro anni, essendo però cagionevole di salute e comunque riuscendo a riprendersi conducendo vita sana e con grande riguardo (p. 30) ed anziché proporre immagini ambientali buone di Ventimiglia preferisce anteporle Albenga da lui reputata città decisamente più malsana (p. 32) (e risultando Albenga danneggiata dallo sfruttamento del Centa per la canapicoltura non nega che tale coltura, causa di inquinamenti, non avvenga anche in area intemelia seppur creando assai meno danni, pur se cita soprattutto la carenza di igiene pubblica (quinta riga dal basso di pag. 37 e prime sette righe di pag. 38) dimostrando di avere coraggio e personalità nell'attaccare pubblicamente i potenti sì da scrivere "[Ma] a quello potrebbero porger rimedio li Capitani, li Commissari, o Governatori, che si appellino: o li Sindici, o siano Consoli della Città, e lo farebbero, se fussero così zelanti del publico, quanto del proprio interesse: Ma mi perdonino se non l'intendono. E che forse nel comune non c'entra l'interesse particolare? (p. 58)". Si appiglia quindi alla gastronomia intemelia citandone la qualità dei vini e la squisitezza delle trote (p. 39) negando, cosa da qualcuno suggerita, la presenza di tormentose nebbie sulla città (pag. 41).
 

Retoricamente il discorso potrebbe anche reggere, specie a fronte di lettori lontani, ma Aprosio dal carattere spesso fumino e controverso cade, forse per qualche imprevisto (previsto?) scontro caratteriale con i dotti locali, in una trappola da lui stesso formulata e che contraddice in parte le cose prima sostenute con tanta fatica = e tutto ciò aviene, a scapito di Ventimiglia, quando scrive = "...e [dei poeti e letterati viventi]ci è un sol giovanetto Pauolo Agostino, figliuolo di Pauolo Girolamo Orengo, e della fù Anna Maria Galeani, di buon marito ottima moglie, il quale non lassa d'esser favorito dalle muse: e se attenderà (però lontano dalla Patria [Ventimiglia], che sottoposto a Cielo d'aria grossa, non gli può somministrare spiriti sottili) sarà il primo poeta della contrada" (pag. 258, riga 4 dal basso)

Le distinte e contrastanti postulazioni aprosiane sembrerebbero una sfasatura del procedere retorico in forza anche del suo carattere ondivago e del resto proprio di tanti eruditi del suo contesto epocale. Ma le cose non stanno solo così e per intenderne la sostanza basta leggere, con discernimento, questa sua lettera al grande Leone Allacci (III colonna dell'articolo) ove si legge "Io me la passo abbastanza bene ed ingrasso nelle fatiche poiché tosto alzatomi da letto, dico messa e poi mi confino in libreria, nelle ore slitamente del coro e del mangiare da quella partendo"

Il fiume Roia/Roya è in definitiva, a livello di decifrazione del messaggio, la macchina naturale che riproduce nella fisicità le discriminazioni sociali, cui il frate, come altri intellettuali del suo tempo, aspira per evitare come suggerito da alcuni di parere esser caduto in una sorta di punitivo esilio in grado di escluderlo dalle relazioni proficue con i contesti sapienzali cosa che si evince, pur pallidamente da questo altro stralcio di lettera di Jacopo Lapi (colonna III). Il fiume, nel meccanismo erudito aprosiano, esclude la Ventimiglia storica, coi suoi problemi e la sua confusione umana dalla ventimiglia ideale, il luogo ameno, inattaccabile dalle brutture del tempo, al cui centro magico sorge il convento, pia e fortificata protezione per la preziosa biblioteca e per il suo dotto artefice in grado, da solo o con pochi eletti, di praticarvi in piena tranquillità l'ambito otium negotiosum.



lunedì 29 aprile 2019

La fondazione a Vallecrosia (IM) dell'Istituto di Sant'Anna

Istituto di Sant'Anna di Vallecrosia (IM) ai primi del 1900






da I "graffiti" della storia: "Vallecrosia e il suo retroterra", di Bartolomeo Durante, Ferruccio Poggi, Erio Tripodi, edizioni erio's, 1984 in Cultura-Barocca



lunedì 15 aprile 2019

La fondazione, o rifondazione, di Bordighera


Il 2 settembre 1470 (notaio Antonio Corrubeo) alcuni capifamiglia (in gran parte di Borghetto e Vallebona), col consenso dello Stato, radunatisi nella parrocchiale di Borghetto, non realizzarono una vera e propria "fondazione" di Bordighera ma una solenne "rifondazione" in VIII "villa" intemelia, erigendo strutture insediative su un'area, al momento deserta ma in cui stavano ruderi di un passato neppure remoto e dove era già esistito un insediamento censito nel focatico provenzale del 1300. Le difficoltà per chiarire ciò furono dovute alla perdita dell'atto originario ed alla necessità di ricostruirlo con documenti di seconda mano.
B. Durante e F. Poggi hanno individuato nell'"Archivio di Stato di Genova" ("Magistrato delle Comunità" n.858) una seicentesca trascrizione dell' originale ad opera del notaio M. Antonio Lamberto (si rinvenne pure un atto, come quello del Lamberto, trascritto il 6-VIII-1708 dal notaio G. Maria Bellomo che consultò l'originale ora perso): B. DURANTE-F. POGGI, Nuovi documenti sulle origini e la storia di Bordighera in "Rivista Ing.Intem.", 1983, n.3-4).
Data la correttezza pubblica e legale delle trascrizioni notarili si può proporre l'atto del Lamberto (che parla di 32 e non di 31 fondatori di Bordighera) come atto probante l'erezione ufficiale della villa di Bordighera:
"In nome del Signore Amen. Resti ben noto a tutti quanti, sia come singoli individui sia al pari di gruppo e collettività, ed a quanti peraltro avranno occasione di leggere od ascoltare il contenuto del suddetto documento che ai seguenti impegni, accordi e stipulazioni sono concorsi i seguenti capifamiglia:
Lazarus Taronus, Antonius Conradus, Siretus Vialis, Lucas Rubeus, Antonius Rubeus q.
[figlio del fu] Bartolomei, Joannes Paranca [figlio di] Georgii, Guliermus Carbonus, Franciscus Ricobonus, Petrus Ricobonus, Georgius de Plana, Nicolaus de Plana, Petrus Jancherius q.[figlio del fu] Francisci, Bertinus Jancherius, Vicentius Bandetus, Monetus Parancha, Ludovicus Jancherius q.[figlio del fu] Francisci, Bartholomeus Traytellus, Ludovicus Balucus, Cristophorus Cataneus, Stephanus Lucas [figlio di] Massimini, Antonius Rubeus [figlio di] Oberti, Joannes Conradus [figlio di] Antonij, Joannes Rubeus [figlio del fu] Andreae, Leonardus Ardissonus, Guliermus Bandetus, Guliermus Conradus, Joannes Approsius [figlio del fu] Thelami, Bartholomeus Rolandus, Rainerius Paranca, Petrus Jancherius [figlio di] Pellegri, Petrus Jancherius [figlio di] Christophori e Antonius Taronus [per un totale di 32 capifamiglia fondatori].
Resti pertanto noto che i soprascritti si sono reciprocamenti fatta promessa d'edificare un luogo
[con "luogo" si indicava un centro minore] nel territorio di Ventimiglia nel sito detto "la Bordighea", procedendosi precisamente nei lavori dalla via pubblica verso mare e dalle proprietà degli eredi del defunto signor Barnaba Corrubeo canonico di Ventimiglia sin alla terre dei già menzionati Giorgio e Nicolò de Plana laddove sta "Lo Pozo" [il pozzo]; intorno a siffatto Pozo verrà quindi costruita una parete alta grossomodo venti palmi che rappresenterà la cinta del borgo: inoltre si edificheranno delle abitazioni prossime a questa cinta muraria ed altre ancora dovranno farsi in simile luogo per la lunghezza di ventotto palmi e la larghezza di venti. Le pareti di queste case, dell'altezza massima di dodici palmi, saranno quindi erette da questo momento entro i due prossimi anni a venire con spese comuni...redatto nella chiesa di S. Nicolò di Borghetto nell'anno del Signore 1470, indizione III, al giorno secondo del mese di settembre essendo presenti i testimon Petro Ganserra, Johanne Balauco q. [del fu] Antonio cittadini Ventimigliese e Johanne Grosso de Sancto Romulo chiamati e convocati a tutto ciò....Estratto in ogni sua parte da una consimile copia autentia ricavata dai protocolli dei documenti del defunto Signor notaro Antonio Corrubeo, copia peraltro sottoscritta dal fu Signor Giovanni Antonio Corrubeo figlio del defunto Antonio, di professione notaio in Ventimiglia.....Marco Antonio Lamberto notaro".

da Cultura-Barocca



sabato 6 aprile 2019

Taglie del XVI secolo su lupi ed orsi a Pigna (IM)


La COMUNITA' DI PIGNA (IM) in Alta Val Nervia nelle sue NORME STATUTARIE del XVI secolo introdusse una RUBRICA in cui si legge: "Orsi, Luppi grossi/ Che ogni persona che piglierà nel territorio del presente Luogo di Pigna et Busio, Orsi o Lupi grossi, a colui, a coloro che n'averanno preso gli sii sii dato e pagato dalla Città e Sindici Agenti per essa per ogni Orso o Lupo grosso libre due ducali [la moneta è sabauda visto che Pigna e territorio dipendevano dal Piemonte sabaudo] et se prenderà delli piccoli la Città gli pagherà una libra [lira] per ogni uno, et quelli gli haverano presi saranno tenuti mettere la testa et le grafie attaccate ad una delle porte della terra".

Per giustificare la taglia ricevuta, visto che venivano retribuiti con denaro fiscale, i cacciatori avrebbero dovuto appendere alle pubbliche porte della città la testa e gli artigli degli ANIMALI PREDATORI. Può sembrare un'usanza barbara, ma era necessaria per la salvaguardia della vita agreste. I motivi di preoccupazione non erano peraltro immotivati.


Dalla lettura del MANOSCRITTO BOREA si apprendono le vicende di VARIE E MORTALI AGGRESSIONI DI LUPI (per quanto la stesura del prezioso documento qui digitalizzato in analisi critica inizi nel 1470, tratti principalmente l'area di Sanremo/San Remo ed alcune considerazioni possano anche esser state talora enfatizzate nella narrazione popolare) nel Ponente ligustico in vari anni. Ad esempio 1532 - 1564 - 1637 - 1641 - 1643.

Le armi (reti, trappole, dardi) e il tipo di caccia (di agguato, di inganno e/o coi cani) fu successivamente integrata coll'uso delle armi da fuoco: si trattava però di ARCHIBUGI, usuali tra la popolazione solo da fine '500, armi cioè che non potevano certo compiere delle stragi.

Dal fatto che negli STATUTI DI PIGNA del '500 fosse stata introdotta questa rubrica si deduce che le colonie di ORSI nell'area in particolare di GOUTA dovessero essere notevoli e costituire, questo è fuor di dubbio, un pericolo per le greggi transumanti: è ipotizzabile che all'epoca storica dei PELLEGRINAGGI (XIII-XIV secolo) questi grandi animali fossero ancora più numerosi in zona che nel '500 e che finissero per costituire un pericolo reale per quei PELLEGRINI che procedessero da soli o si avventurassero troppo fuori dai percorsi naturalmente battuti.

da Cultura-Barocca