mercoledì 27 febbraio 2019

Ceriana (IM)

Ceriana (IM) in una foto di circa un secolo fa - Fonte: Wikipedia
CERIANA (di non impossibile genesi romana*) sorge all'interno della Valle Armea a 15 Km. c.a da  Sanremo (IM) e 33 da Imperia, ad un'altezza di circa 369 m. sul livello del mare.
Come molti borghi fortificati medievali della Liguria occidentale il paese evidenzia la sua posizione strategica e la particolare tecnica costruttiva per cui le case risultano addossate le une alle altre formando, oltre la cinta muraria, una sorta di cortina contro cui gli eventuali nemici avrebbero dovuto urtare, inerpicandosi poi a fatica e defilati, per l'angustia degli spazi, lungo le strette viuzze (i "Carruggi") dove per pochi difensori sarebbe stato possibile tendere insidie e fermare un numero anche rilevante di aggressori.
Ed ancora una volta, come accade sempre per molti paesi liguri [emblematico è il caso di Dolceacqua], i vari itinerari interni al borgo conducevano anche qui ad un CASTELLO verisimilmente eretto nel XII secolo, ma andato poi distrutto, anche se ne restano alcune tracce relativamente alla cinta muraria e alla porta d'accesso caratterizzate da grossi blocchi in pietra locale non squadrati.
Ceriana (IM), Porta della Pena - Fonte: Wikipedia
Peraltro rimane pure qualcosa della Porta dell'Oppidum o Porta della Pena, rozza, ad arco ribassato; esiste poi un camminamento coperto che comunica con la chiesa di S.Pietro e con la Torre di S. Andrea, quadrata, in pietra e calcestruzzo, con feritoie nella parte inferiore mentre in quella superiore è a cuspide.
Inizialmente il borgo fu possesso feudale dei Conti di Ventimiglia, ma nel 1308 passò sotto la giurisdizione di Corrado vescovo di S. Lorenzo di Genova che vi organizzò una contea rurale.
Nel 1297 il paese fu poi venduto a Giorgio de Mari ed a Oberto Doria.
Esso fu quindi assimilato dalla forte Repubblica di Genova ed inserito nel suo Dominio.
Seguì quindi le sorti di Genova fino a quando, caduta la Repubblica per le conseguenze della Rivoluzione francese, il paese entrò poi, dopo le imprese di Napoleone Bonaparte a far parte dell' Impero Francese di cui seguì le sorti fino alla Restaurazione del Concilio di Vienna nel 1815.
A Ceriana è notevole l'architettura religiosa.
E' per esempio il paese degli Oratori.
Se ne possono ammirare diversi: per esempio quello della Visitazione, retto dalla Confraternita degli Azzurri che si pensa sia stato eretto sulle fondamenta di una struttura romana alla maniera di come si era soliti in Liguria Occidentale ai tempi del Cristianesimo delle origini [tra tanti un caso emblematico può essere considerato quello della chiesa vallecrosina di S.Vincenzo e S.Rocco.
Altri Oratori sono quello di S. Marte retto dalla Confraternita dei Verdi (in cui si ritengono custodite le reliquie dei Martiri Placido e Germanione), quello di S.Caterina in cui si può ammirare una pala in cui è effigiata S.Caterina tra le figure di S. Chiara e S. M. Maddalena [opera che si ritiene di Francesco Brea nipote del pittore ligure-nizzardo F.Brea: l'Oratorio si segnala per la pianta longitudinale e per la facciata giudicata di scuola del Borromini e datata del XVII secolo].
L'edificio religioso di Ceriana che supera tutti per l'intrinseco valore artistico resta però sempre la CHIESA PARROCCHIALE DEI SS. PIETRO E PAOLO che - a giudizio di Rinangelo Paglieri vera autorità sull'architettura religiosa e soprattutto barocca del Ponente di Liguria - "è forse per contenuti e dimensioni l'opera religiosa che più di ogni altra permette di cogliere la perizia e l'arte dell'autore" [l'architetto Domenico Belmonte (1725-1795)]. Iniziata negli ultimi mesi del 1768 per dar corso all'Opera Pia 'lasciata e ordinata dal fu Signor Secondino de Ferrari' che per la sua edificazione aveva messo appositamente a disposizione della Comunità una cospicua somma di danaro, fu consacrata nel 1774 da Monsignor Torre vescovo di Albenga".
In effetti per terminare compiutamente l'opera -come precisa sempre il documentato Paglieri- passerà dell'altro tempo e si arriverà al 1795 quando lo stuccatore Vincenzo Adani lavorerà nel presbiterio e sulle superfici della navata lasciandovi testimonianze della sua formazione neoclassica.
Secondo il Paglieri in particolare nella NAVATA il Belmonte ha dato prova della sua originalità così che nell'INTERNO "attorno ad uno spazio quadrangolare coperto a vela si sommano spazi complementari, delimitati da movimentate superfici, che permettono all'invaso dilatazioni nelle due direzioni ortogonali" (vedi: R. PAGLIERI, Nuovi contributi sull'opera architettonica di D. Belmonte" in "Riviera dei Fiori", 1984, n.1/2).
Come molti paesi del PONENTE LIGURE anche CERIANA vanta un'antica storia religiosa che affonda le sue radici quasi nel CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI.
Molto antiche sono quindi le chiese originarie tra cui si deve citare quella di S.ANDREA che la tradizione vuole edificata prima del 1000 sulle fondamenta di un edificio religioso pagano.
La più importante chiesa antica non solo di CERIANA è la CHIESA DI S.PIETRO che costituisce uno dei più begli esempi di architettura romanica in Provincia di Imperia e che durante il suo fulgore non doveva sfigurare nemmeno a confronto della CATTEDRALE DI VENTIMIGLIA o della CHIESA DI S. SIRO DI SANREMO.
La CHIESA DI S. PIETRO fu verisimilmente costruita nel XII o XIII secolo e l'esterno denota la linea originaria (nonostante interventi edili del Quattrocento) a differenza dell'interno che è stato pesantemente rivisitato in epoca barocca.
A CERIANA vi è poi da visitare il SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DELLA VILLA una chiesa agreste che signoreggia quasi sulla Valle Armea.
In un paesaggio incontaminato è venerata questa MADONNA che in un'antica lauda è detta BAMBINELA.
Si narra che sul luogo ove fu eretto il SANTUARIO fosse esistita una CAPPELLA INTITOLATA ALLA VERGINE COL TITOLO DI S. MARIA e che questa fosse custodita da un EREMITA: notazione peraltro non priva di qualche significato tenendo conto che la diffusione del CRISTIANESIMO PRIMIGENIO in LIGURIA OCCIDENTALE fu di natura EREMITICA ED ASCETICA e particolarmente di TIPOLOGIA INSULARE come quello dell'ISOLA GALLINARA.
Il SANTUARIO è nominato in documenti molto antichi, già nel 1218, e doveva essere di piccole dimensioni.
Venne ampliato verso il 1623 durante il fervore costruttivo dell'architettura barocca ligure: l'occasione per le migliorie dipese dal fatto che in questo SANTUARIO si recò in PELLEGRINAGGIO la marchesa Antonia Pallavicini che vi eresse una cappellania col compito di doversi dire ogni giorno una messa per lei e la sua famiglia.
In seguito a questa iniziativa il SANTUARIO venne arredato in maniera sempre più importante: nel 1627 da GENOVA giunse una statua della Vergine opera di Domenico Paraca che sostituì la vecchia immagine custodita su un altare in legno di tiglio e che ora risulta conservata nella sacrestia della Parrocchiale di Ceriana: un importante evento fu quando, su committenza degli stessi Cerianesi giunse ad affrescare la volta (con scene di Vita della Vergine e pagine della Bibbia) il pittore Maurizio Carrega.



* la VILLA DI CERIANA, per quanto riguarda la sua origine, rimanda forse ad una GENS COELIA [secondo G.Petracco Sicardi potrebbe anchre rimandare ad una GENS CAERELLIA se la dizione locale tseriàna è di tradizione orale diretta] anche se le labili prove confortano poco sul piano di oggettive relazioni. Alla casualità si può però accostare un principio di causa-effetto, essendo frequenti e noti gli spostamenti dei ceppi padronali in aree dove poter risiedere, svolgendo un'attività commerciale integrata dai cespiti di proprietà fondiarie diversamente gestite. Naturalmente i tempi delle invasioni dei barbari hanno alterato a tal punto il territorio ligure da rendere improbabile il ritrovamento delle tracce di qualche azienda agricola connessa all'iniziativa di una gens romana: per leggere in modo più esteso lo sviluppo demico del paese bisogna rifarsi all'EPOCA MEDIEVALE

da Cultura-Barocca

domenica 24 febbraio 2019

Alla ricerca di un vino perduto: il Moscatello del Ponente Ligure

 











Informatizzazione di Bartolomeo Durante dell'articolo di Bartolomeo Durante in "LA REGIONE LIGURIA", 1981, 10 dal titolo "ALLA RICERCA DI UN VINO PERDUTO: IL MOSCATELLO DEL PONENTE LIGURE"

da Cultura-Barocca

domenica 17 febbraio 2019

Castelvecchio di Imperia, sede di antico castro



CASTELVECCHIO nell'attuale città di Imperia, sede dell'antico castro diruto - secondo la tradizione - ad opera dei Saraceni nel 992, risultava ubicato in sito favorevole allo sbocco della valle.
L'antica CHIESA DI SANTA MARIA MAGGIORE ritta e bianca su un poggio donde si vede per largo spazio venne rifatta verso il 1680 e attribuita all'architetto Gio Batta Marvaldi.
Della chiesa primitiva non rimane altro che qualche traccia muraria nella parte inferiore del campanile (della riedificazione intermedia e medievale rimangono invece il tabernacolo gotico ritenuto della scuola del Gaggini ed ancora la tavola dell'ANNUNCIAZIONE da alcuni studiosi (che però il Meriana studioso di questo Santuario non cita) i quali vorrebbero che fosse opera di Giovanni Mazone (1463-1510).

La CHIESA ORIGINARIA di CASTELVECCHIO, sulla base di minimi dati archeologici e di qualche sondaggio storico necessariamente incuneatosi nei temi dell'agiografia, sarebbe stata eretta almeno in epoca carolingia e quindi dopo la sconfitta dei Longobardi ad opera di Carlo Magno nell'VIII secolo.

Stando a queste valutazioni l'origine della chiesa primigenia sarebbe quindi da collegare alla seconda ondata dell'apostolato benedettino: quello che, per espressa volontà di Carlo Magno avrebbe garantito consistenti compensi ai MONASTERI PEDEMONTANI DI ORIGINE FRANCA RIMASTIGLI FEDELI ed in particolare al CENOBIO DI NOVALESA.
Stando però alla tradizione ed al cenno sulla distruzione dei SARACENI, poiché non si può sempre disconoscere veridicità alla tradizione specie quando le sue comunicazioni sono razionali e tra loro collegate, v'è da credere che l'erezione dell'edificio religioso rientri in un'epoca precedente, mentre si esaurivano o mutavano le manifestazioni delle più MANIFESTAZIONI DI APOSTOLATO BENEDETTINO E NON in Liguria occidentale: e del resto una PERGAMENA datata SEGNI, 9 febbraio 1151 (1152) conservata fra gli ACTA del MONASTERO DI NOVALESA (con cui papa Eugenio III riconfermava i possessi riconosciuti al MONASTERO SUSINO da papa Innocenzo II) non indica in Liguria alcun bene territoriale, con chiese, corti, campi, grange e mulini, tranne che nella VIA ROMEA DEL NERVIA.
E' impossibile dire quali fossero i monaci, verisimilmente Benedettini, che si stanziarono qui dopo aver eretto la chiesa.
Si accetti dunque, per consequenziale metodologia, come esatta la data della distruzione saracena della chiesa di Castelvecchio del 992 (anche se la SCONFITTA SARACENA AD OPERA DELLA COALIZIONE CRISTIANA IDEALMENTE CAPEGGIATA DA SAN MAIOLO risalirebbe a quasi una diecina d'anni dopo, non mancano tracce di radi e sparsi saccheggi perpetrati dalle bande di arabi fuggiaschi ritiratisi a far vita di macchia e brigantaggio).
A questo punto non si possono escludere due principali possibilità: che l'anticha chiesa sia stata eretta dai BENEDETTINI DI PEDONA (estremamente attivi nel Ponente Ligure prima che il loro MONASTERO fosse parimenti distrutto dai Saraceni) o che altri monaci ancora abbiano posto qui le loro basi come quelli di LERINO che operarono (e non solo) nell'AREA DI RIVA LIGURE E SANTO STEFANO AL MARE creandovi un loro PRINCIPATO ECCLESIASTICO (ma anche in questo caso le datazioni discorderebbero essendo stati favoriti gli insediamenti di Lerino dalla Cattedra di Genova e dalle Diocesi ancora una volta per dar ristoro alle terre dell'Estremo Ponente ligure ma "dopo la fine del pericolo Saraceno" o, perlomeno, stando agli atti superstiti, dal 980, quando la potenza degli Arabi del Frassineto risultava in netta fase calante e non era impossibile prevedere una loro distruzione a breve scadenza).

Tenendo conto della varietà cronologica e tipologica degli INSEDIAMENTI BENEDETTINI nell'estremo Ponente in questa sede si può solo affermare che, pur essendosi potuto inserire sul tronco di precedenti MANIFESTAZIONI MONASTICHE, ASCETICHE ED EREMITICHE, ANCHE DI CULTURE TEOLOGICHE DISTINTE, il FENOMENO BENEDETTINO resta quello cui con massima possibilità di correttezza critica si può attribuire il COMPLESSO RELIGIOSO DI CASTELVECCHIO ed ancora che l'INSEDIAMENTO MONASTICO DISTRUTTO DAI SARACENI nel X secolo con discrete probabilità si può ascrivere ai mai completamente interpretati spostamenti dei monaci della sventurata PEDONA peraltro, ancor più dei NOVALICIENSI, propensi per cultura e scienza all'incentivazione della COLTURA DELL'OLIVO.
Da queste osservazioni però si intende che bene hanno scritto quegli storici ed archeologi che hanno definita questa come una zona ancora tutta da esplorare sia sotto il profilo archeologico, sia sotto quello urbanistico-architettonico, conserva interessanti resti dell'epoca mediovale.
Secondo la cultura politica e religiosa dei Benedettini l'insediamento monastico (come in tempi simili avvenne a VILLAREGIA, nella grande area tra BUSSANA e TAGGIA avrebbe potuto e probabilmente dovuto svilupparsi sulle basi di un insediamento precedente.
Questo avrebbe potuto essere un insediamento monastico di esperienze più antiche ma, al modo che per esempio è avvenuto a SAN ROCCO DI VALLECROSIA, oltre che nello stesso FONDO DI VILLAREGIA, ma solo approfondite indagini archeologiche, se possibili, sarebbero in grado di svelare le eventuali sovrapposizioni.
Certo il fatto che fosse stata individuata per esser sede di CHIESA MATRICE (per giunta titolata all'ASSUNTA secondo una linea di consacrazioni consueta fra i Benedettini dell'apostolato originario) fa pensare che in CASTELVECCHIO (che peraltro gode di una logistica favorevole sotto ogni profilo per il controllo dei traffici) le civiltà alternatesi avessero impiantato basi o strutture produttive: e che in particolare i BARBARI e quindi i BIZANTINI e poi ancora i LONGOBARDI nel loro contrapporsi reciproco avessero dato un particolare rilievo demico ed insediativo a questo luogo disposto -non lo si dimentichi- a guardia del sistema di valle ma soprattutto in rapporto con la VIA STORICA DEL PIEMONTE avendo quali schermi protettivi a monte i fondamentali centri di VIA DEL NAVA.
Discorso questo che assume notevole valenza se, anziché chiudersi nei particolarismi subregionalistici, si valuta il particolare e l'insieme: e per esempio si nota come il CASTELLO DI DOLCEACQUA, lo SPERONE DI CAMPOMARZIO e quindi il COMPLESSO DEL CASTELVECCHIO sono speculari (ancor più speculari poi se si crede al documentatissimo Molle su il fatto che il "fiume di Oneglia" venisse superato presso il Castelvecchio [che sarebbe stato un FORTE ROMANO poi rivisitato militarmente da altri conquistatori] da un PONTE ROMANO).
Le convergenze su questa linea di riflessioni oltre che speculari vengono giustificate dalla logica militare e rimandano sia agli interventi protettivi sull'area dell'attuale imperia condotti prima dall'imperatore COSTANZO e quindi da TIBERIO MAURIZIO: di conseguenza i TRE CENTRI TATTICI si sarebbero trovati pressoché in asse strategica, con posizioni molto simili, in aree elevate con la protezione a ponente di un corso d'acqua ed a protezione di un ponte ed ancora (oltre che soprattutto) a guardia sia del territorio di costa che del traffico delle TRE VIE DEL PIEMONTE -quella del NERVIA, dell' ARGENTINA e finalmente questa del NAVA.

Questi dati soltanto però sono recuperabili, dati che soprattutto rimandano a pur plausibili ipotesi.
Nulla di significativo e monumentale rimane a CASTELVECCHIO per giustificare la continuazione di questi pensieri: poco conta ad esempio che vicino al cimitero sorga un oratorio della seconda metà del Seicento, il cui precario stato di conservazione è riscontrabile nelle vetuste strutture murarie.


da Cultura-Barocca

sabato 9 febbraio 2019

Cenni sul vino Rossese

Evoluzione della viticoltura nel ponente della provincia di Imperia (disegni e grafici di Michelangelo Durante)

Scheda messa a disposizione dall'Istituto Internazionale di Studi Liguri di Bordighera e redatta grazie agli studi svolti presso il Museo Gallesio-Piume di Genova


 


E' evidente l'impianto d'architettura rurale delle FASCE ricavate per la coltura dei VITIGNI DI ROSSESE, una COLTURA - DOPO IL TRACOLLO A CAUSA DELLE MALATTIE PARASSITARIE DEI VITIGNI TRADIZIONALI COMPRESO IL CELEBERRIMO "MOSCATELLINO" ESALTATO DA POETI E SCRITTORI QUAL DEGNO DELL'OTIUM NEGOTIOSUM DEI CLASSICI GRECI E LATINI EVOLUTASI DAL XIX SEC. CON INNESTO DI PRODOTTI LOCALI SU CEPPI AMERICANI da cui si ricava un VINO, appunto il ROSSESE tanto buono da esser stato celebrato addirittura in questa SEQUENZA PITTORICA DI MARCELLO CAMMI (di cui si può ammirare qui di seguito un'altra opera di diversa ispirazione).


"VINO UNICO AL MONDO DI BORDIGHERA" - SCRISSE IL PITTORE CAMMI - ANCHE SE SI TRATTAVA PIU' PROPRIAMENTE IL "ROSSESE".
La sopraelevazione del terreno, il suo riporto, il drenaggio idrico è stato realizzato attraverso la ripresa della tecnica colturale benedettina della GRANGIA. Molti di questi MURI A SECCO esistono da secoli: per la loro manutenzione i contadini erano soliti utilizzare il terreno fresco emerso dai ripascimenti. A volte, senza rendersene conto, recuperavano dalle zolle oggetti archeologici (monete, frammenti di ceramica, tracce di corredi funebri, residui organici ecc.) che inserivano negli interstizi dei muri a secco in modo da colmare alcune falle o spazi apertisi per lo smottamento: alcuni archeologi di superficie, esperti a leggere nei MURI A SECCO,non hanno mancato di ritrovare negli interstizi alcune interessanti tracce del passato anche remoto della civiltà ligure: specie in aree, come l'agro delle valli intemelie = in particolare della VALLE DEL NERVIA (non esclusa una PORZIONE DELLA VALLE DEL ROIA), quindi dell'AREALE DI DOLCEACQUA.

Il "Rossese di Dolceacqua", detto anche solo "Dolceacqua", è un vino prodotto nel ponente ligure, ed esattamente in val Nervia, in val Verbone ed in una porzione della Valle Roia nella provincia di Imperia. I principali comuni interessati nella produzione sono Camporosso, Dolceacqua, Perinaldo, San Biagio della Cima, Soldano, Vallecrosia, Ventimiglia. Il disciplinare D.O.C. del Rossese di Dolceacqua è stato il primo ad essere approvato in Liguria, nel 1972.


da Cultura-Barocca

martedì 5 febbraio 2019

Un arduo sfruttamento di legname di oltre un secolo fa

Perinaldo (IM) ed uno scorcio della Valle del Verbone
Se la valle del Crosa o Verbone (IM) non conobbe specificatamente la civiltà del castagno (tipica dell’epoca medievale ligure), certamente conobbe quella, terribile per tanti versi, legata all’uso del legno, essenziale per il sostentamento della “vita rustica”.
All’alba del XX  secolo la valle risentì a tal proposito dello sfruttamento del patrimonio ligneo che a nord, nell’area di Perinaldo (IM), si presentava in boschi secolari assai lucrosa per i bastimenti in massima parte ancora lignei come si vede nell’immagine d’epoca concernente il Porto di Genova.



Sull’argomento non esistono molte documentazioni scritte e latitano anche quelle fotografiche: ma da quanto si è potuto ricostruire dalla consultazione dell’archivio privato di Silvio Croesi (padre dell’ex Sindaco di Perinaldo Emilio Croesi) l’iniziativa nel suo momento di massima fioritura del 1909-10, fu stimolata da Pietro Malfassi grosso operatore bergamasco nel settore dei legnami da costruzione che, pur avendo nel Tirolo la fonte principale dei suoi interessi, seppe individuare nell’area di Perinaldo un’autentica vena lignea.
In verità il Malfassi non operò direttamente nella zona e si valse piuttosto della competenza del citato Silvio Croesi, il cui padre già gestì a Genova una consistente azienda commerciale.
Sanremo fu il luogo in cui i due personaggi escogitarono, oltre le necessarie operazioni legali e pubbliche con cui ottenere tutte le diverse autorizzazioni, un intelligente meccanismo per il cui tramite superare gli ostacoli geomorfologici del terreno e condurre i tronchi tagliati a destinazione: cioè ai Piani di Vallecrosia, campo principale e deposito del materiale.
Perinaldo come testa di ponte di un sistema di trasporti era un problema, tenendo conto e degli strumenti utilizzabili all’epoca, insufficienti per le esigenze del Malfassi (lettera del Malfassi del 2-V-1909 in “Archivio cit.”: “non si deve vendere meno di 200 vagoni annui nella media di 3 anni”) e di un improprio sistema viario: la provinciale da Vallecrosia era ARDUA e inutilizzabile la strada litorale di Camporosso a Perinaldo (di cui già si discusse dal lontano 1831, doc. del 18-VIII-1831 in “Archivio privato Poggi/Bordighera”).
Ci si appoggiò quindi ad un vetusto itinerario di trasporti che, dall’area di disboschimento più arretrata rispetto a Perinaldo, portava qualsiasi tipo di materiale sino alla testa di ponte istituzionale (Suseneo-S. Martino) che apriva il più facile percorso attraverso la valle del Verbone.

Tra Perinaldo e Soldano
Il torrente veniva superato con una TELEFERICA sin all’area di Massabò (località Poggio dei Rossi).


 
Fu così potenziata una rete viaria “montagnosa” per il tramite di un SISTEMA A ROTAIA: su impossibili pendenze, trainati da mule o controllati da un frenatore in discesa autonoma, carrelli di consistenti dimensioni portavano i tronchi tagliati sino al punto di poter essere rovesciati nella valle del Verbone e di lì ancora per il tramite di rotaie e vagoncini, condotti sino a Vallecrosia, sfruttando o superando le tortuosità della provinciale con l’aiuto degli animali (Archivio privato S. Croesi di Perinaldo - lettere ad anno 1909).
A VALLECROSIA (PIANI) esisteva il TERMINALE DI QUESTO SISTEMA DI TRASPORTO GRAZIE AI MULI DEL LEGNAME RICAVATO DAI BOSCHI DEL TERRITORIO A NORDI DI PERINALDO il deposito del materiale e sul LITORALE (foce del Verbone non molto lontano dai resti del GUADO ROMANO NEL TORRENTE> non ancora distrutto) = quello che i più vecchi ricordano come PORTO.



In effetti, come si vede, si trattava più pertinentemente di un pontile a rotaia, di ferro e penetrante nel mare per qualche centinaio di metri, su cui correva una gru, o meglio un elevatore destinato a caricare il legname che avrebbe preso la strada per Genova (tramite battelli, in parte ancora a vela, da carico) e di lì anche per la Sardegna, la Spagna, la Tunisia (dove il Malfassi tenne affari).
In effetti l’azienda bergamasca operava però prioritariamente sul litorale ligure e nel piemontese: ” … la vendita di 200 vagoni per anno dell’importo di L. 240.000 circa, questi certamente devono essere venduti sul litorale, anche nel piemontese, perchè tengo altro contratto” (Archivio cit., lettera del Malfassi datata Bergamo 20-IV-1909).
Ma il Malfassi non fu l’unico a sfruttare il patrimonio boschivo del territorio a Nord e Nord-Est del terminale della val Crosa.
Altre aziende sfruttarono alcune improvvide concessioni e un programma, non sempre criteriato di disboscamento.
A Vallecrosia (Piani) operava una GROSSA SEGHERIA, una vera e propria azienda (zona attuale via Colombo - antico toponimo Segheria ): temendone la concorrenza, ed il fatto che i valligiani di essa si erano abitualmente serviti, Silvio Croesi allarmato scrisse da Perinaldo al Malfassi a Bergamo (in Archivio cit. 26-IV-1909): “… vi è inoltre da calcolare che la segheria di Vallecrosia è di non indifferente ostacolo giacchè da molto tempo ha accapparati la maggior parte ed il miglior contingente dei consumatori del litorale pur non tenendo conto delle colossali ditte di Sampierdarena che non hanno mai tralasciato a mezzo dei loro agenti la viva e inappuntabile distribuzione dei loro prodotti” .
Ma l’imprenditore bergamasco tenne duro, fece scivolare i contratti nella direzione, anche, dei paesi iberici: l’operazione decollò, pure sfruttando mano d’opera di Vallecrosia e San Biagio della Cima.
Poi, cambiato il mercato del legname, l’emorragia dei boschi venne meno e sulle cime oltre Perinaldo ritornò l’antica tranquillità.
L’impianto di funivie e binari venne smantellato, il pontile fu demolito (sott’acqua si può rischiare d’incappare in qualche troncone metallico della vecchia struttura tuttora ancorato al fondale) ma, sotto gli effetti del ricordo e del tempo che tutto ingigantisce, nel ricordo di qualcuno finì per diventare l’appendice di un porto molto grande che Vallecrosia non ebbe mai…

da Cultura-Barocca