Perinaldo (IM) ed uno scorcio della Valle del Verbone |
Se la valle del Crosa o Verbone (IM) non conobbe specificatamente la
civiltà del castagno (tipica dell’epoca medievale ligure), certamente
conobbe quella, terribile per tanti versi, legata all’uso del legno,
essenziale per il sostentamento della “vita rustica”.
All’alba del XX secolo la valle risentì a tal proposito dello sfruttamento del patrimonio ligneo che a nord, nell’area di Perinaldo (IM), si presentava in boschi secolari assai lucrosa per i bastimenti in massima parte ancora lignei come si vede nell’immagine d’epoca concernente il Porto di Genova.
All’alba del XX secolo la valle risentì a tal proposito dello sfruttamento del patrimonio ligneo che a nord, nell’area di Perinaldo (IM), si presentava in boschi secolari assai lucrosa per i bastimenti in massima parte ancora lignei come si vede nell’immagine d’epoca concernente il Porto di Genova.
Sull’argomento non esistono molte documentazioni scritte e latitano
anche quelle fotografiche: ma da quanto si è potuto ricostruire dalla
consultazione dell’archivio privato di Silvio Croesi (padre dell’ex
Sindaco di Perinaldo Emilio Croesi) l’iniziativa nel suo momento di
massima fioritura del 1909-10, fu stimolata da Pietro Malfassi grosso
operatore bergamasco nel settore dei legnami da costruzione che, pur
avendo nel Tirolo la fonte principale dei suoi interessi, seppe
individuare nell’area di Perinaldo un’autentica vena lignea.
In verità il Malfassi non operò direttamente nella zona e si valse piuttosto della competenza del citato Silvio Croesi, il cui padre già gestì a Genova una consistente azienda commerciale.
Sanremo fu il luogo in cui i due personaggi escogitarono, oltre le necessarie operazioni legali e pubbliche con cui ottenere tutte le diverse autorizzazioni, un intelligente meccanismo per il cui tramite superare gli ostacoli geomorfologici del terreno e condurre i tronchi tagliati a destinazione: cioè ai Piani di Vallecrosia, campo principale e deposito del materiale.
Perinaldo come testa di ponte di un sistema di trasporti era un problema, tenendo conto e degli strumenti utilizzabili all’epoca, insufficienti per le esigenze del Malfassi (lettera del Malfassi del 2-V-1909 in “Archivio cit.”: “non si deve vendere meno di 200 vagoni annui nella media di 3 anni”) e di un improprio sistema viario: la provinciale da Vallecrosia era ARDUA e inutilizzabile la strada litorale di Camporosso a Perinaldo (di cui già si discusse dal lontano 1831, doc. del 18-VIII-1831 in “Archivio privato Poggi/Bordighera”).
Ci si appoggiò quindi ad un vetusto itinerario di trasporti che, dall’area di disboschimento più arretrata rispetto a Perinaldo, portava qualsiasi tipo di materiale sino alla testa di ponte istituzionale (Suseneo-S. Martino) che apriva il più facile percorso attraverso la valle del Verbone.
Il torrente veniva superato con una TELEFERICA sin all’area di Massabò (località Poggio dei Rossi).
In verità il Malfassi non operò direttamente nella zona e si valse piuttosto della competenza del citato Silvio Croesi, il cui padre già gestì a Genova una consistente azienda commerciale.
Sanremo fu il luogo in cui i due personaggi escogitarono, oltre le necessarie operazioni legali e pubbliche con cui ottenere tutte le diverse autorizzazioni, un intelligente meccanismo per il cui tramite superare gli ostacoli geomorfologici del terreno e condurre i tronchi tagliati a destinazione: cioè ai Piani di Vallecrosia, campo principale e deposito del materiale.
Perinaldo come testa di ponte di un sistema di trasporti era un problema, tenendo conto e degli strumenti utilizzabili all’epoca, insufficienti per le esigenze del Malfassi (lettera del Malfassi del 2-V-1909 in “Archivio cit.”: “non si deve vendere meno di 200 vagoni annui nella media di 3 anni”) e di un improprio sistema viario: la provinciale da Vallecrosia era ARDUA e inutilizzabile la strada litorale di Camporosso a Perinaldo (di cui già si discusse dal lontano 1831, doc. del 18-VIII-1831 in “Archivio privato Poggi/Bordighera”).
Ci si appoggiò quindi ad un vetusto itinerario di trasporti che, dall’area di disboschimento più arretrata rispetto a Perinaldo, portava qualsiasi tipo di materiale sino alla testa di ponte istituzionale (Suseneo-S. Martino) che apriva il più facile percorso attraverso la valle del Verbone.
Tra Perinaldo e Soldano |
Fu così potenziata una rete viaria “montagnosa” per il tramite
di un SISTEMA A ROTAIA: su impossibili pendenze, trainati da mule o
controllati da un frenatore in discesa autonoma, carrelli di consistenti
dimensioni portavano i tronchi tagliati sino al punto di poter essere
rovesciati nella valle del Verbone e di lì ancora per il tramite di
rotaie e vagoncini, condotti sino a Vallecrosia, sfruttando o superando
le tortuosità della provinciale con l’aiuto degli animali (Archivio
privato S. Croesi di Perinaldo - lettere ad anno 1909).
A VALLECROSIA (PIANI) esisteva il TERMINALE DI QUESTO SISTEMA DI TRASPORTO GRAZIE AI MULI DEL LEGNAME RICAVATO DAI BOSCHI DEL TERRITORIO A NORDI DI PERINALDO il deposito del materiale e sul LITORALE (foce del Verbone non molto lontano dai resti del GUADO ROMANO NEL TORRENTE> non ancora distrutto) = quello che i più vecchi ricordano come PORTO.
A VALLECROSIA (PIANI) esisteva il TERMINALE DI QUESTO SISTEMA DI TRASPORTO GRAZIE AI MULI DEL LEGNAME RICAVATO DAI BOSCHI DEL TERRITORIO A NORDI DI PERINALDO il deposito del materiale e sul LITORALE (foce del Verbone non molto lontano dai resti del GUADO ROMANO NEL TORRENTE> non ancora distrutto) = quello che i più vecchi ricordano come PORTO.
In effetti, come si vede, si trattava più pertinentemente di un
pontile a rotaia, di ferro e penetrante nel mare per qualche centinaio
di metri, su cui correva una gru, o meglio un elevatore destinato a
caricare il legname che avrebbe preso la strada per Genova (tramite
battelli, in parte ancora a vela, da carico) e di lì anche per la
Sardegna, la Spagna, la Tunisia (dove il Malfassi tenne affari).
In effetti l’azienda bergamasca operava però prioritariamente sul litorale ligure e nel piemontese: ” … la vendita di 200 vagoni per anno dell’importo di L. 240.000 circa, questi certamente devono essere venduti sul litorale, anche nel piemontese, perchè tengo altro contratto” (Archivio cit., lettera del Malfassi datata Bergamo 20-IV-1909).
Ma il Malfassi non fu l’unico a sfruttare il patrimonio boschivo del territorio a Nord e Nord-Est del terminale della val Crosa.
Altre aziende sfruttarono alcune improvvide concessioni e un programma, non sempre criteriato di disboscamento.
A Vallecrosia (Piani) operava una GROSSA SEGHERIA, una vera e propria azienda (zona attuale via Colombo - antico toponimo Segheria ): temendone la concorrenza, ed il fatto che i valligiani di essa si erano abitualmente serviti, Silvio Croesi allarmato scrisse da Perinaldo al Malfassi a Bergamo (in Archivio cit. 26-IV-1909): “… vi è inoltre da calcolare che la segheria di Vallecrosia è di non indifferente ostacolo giacchè da molto tempo ha accapparati la maggior parte ed il miglior contingente dei consumatori del litorale pur non tenendo conto delle colossali ditte di Sampierdarena che non hanno mai tralasciato a mezzo dei loro agenti la viva e inappuntabile distribuzione dei loro prodotti” .
Ma l’imprenditore bergamasco tenne duro, fece scivolare i contratti nella direzione, anche, dei paesi iberici: l’operazione decollò, pure sfruttando mano d’opera di Vallecrosia e San Biagio della Cima.
Poi, cambiato il mercato del legname, l’emorragia dei boschi venne meno e sulle cime oltre Perinaldo ritornò l’antica tranquillità.
L’impianto di funivie e binari venne smantellato, il pontile fu demolito (sott’acqua si può rischiare d’incappare in qualche troncone metallico della vecchia struttura tuttora ancorato al fondale) ma, sotto gli effetti del ricordo e del tempo che tutto ingigantisce, nel ricordo di qualcuno finì per diventare l’appendice di un porto molto grande che Vallecrosia non ebbe mai…
In effetti l’azienda bergamasca operava però prioritariamente sul litorale ligure e nel piemontese: ” … la vendita di 200 vagoni per anno dell’importo di L. 240.000 circa, questi certamente devono essere venduti sul litorale, anche nel piemontese, perchè tengo altro contratto” (Archivio cit., lettera del Malfassi datata Bergamo 20-IV-1909).
Ma il Malfassi non fu l’unico a sfruttare il patrimonio boschivo del territorio a Nord e Nord-Est del terminale della val Crosa.
Altre aziende sfruttarono alcune improvvide concessioni e un programma, non sempre criteriato di disboscamento.
A Vallecrosia (Piani) operava una GROSSA SEGHERIA, una vera e propria azienda (zona attuale via Colombo - antico toponimo Segheria ): temendone la concorrenza, ed il fatto che i valligiani di essa si erano abitualmente serviti, Silvio Croesi allarmato scrisse da Perinaldo al Malfassi a Bergamo (in Archivio cit. 26-IV-1909): “… vi è inoltre da calcolare che la segheria di Vallecrosia è di non indifferente ostacolo giacchè da molto tempo ha accapparati la maggior parte ed il miglior contingente dei consumatori del litorale pur non tenendo conto delle colossali ditte di Sampierdarena che non hanno mai tralasciato a mezzo dei loro agenti la viva e inappuntabile distribuzione dei loro prodotti” .
Ma l’imprenditore bergamasco tenne duro, fece scivolare i contratti nella direzione, anche, dei paesi iberici: l’operazione decollò, pure sfruttando mano d’opera di Vallecrosia e San Biagio della Cima.
Poi, cambiato il mercato del legname, l’emorragia dei boschi venne meno e sulle cime oltre Perinaldo ritornò l’antica tranquillità.
L’impianto di funivie e binari venne smantellato, il pontile fu demolito (sott’acqua si può rischiare d’incappare in qualche troncone metallico della vecchia struttura tuttora ancorato al fondale) ma, sotto gli effetti del ricordo e del tempo che tutto ingigantisce, nel ricordo di qualcuno finì per diventare l’appendice di un porto molto grande che Vallecrosia non ebbe mai…
da Cultura-Barocca