martedì 26 marzo 2019

Un piccolo, ma tormentato documento di antica democrazia rurale

Alle falde di Montenero
Della COMUNITA’ (fondata nel 1686) DEGLI OTTO LUOGHI (le “Ville” di Camporosso, Vallecrosia, San Biagio della Cima, Soldano, Vallebona, Bordighera, Borghetto San Nicolò e Sasso - le ultime due località, oggi frazioni di Bordighera - nel ponente dell'attuale provincia di Imperia), si ricordano - e sono in primis importanti da esaminare per lo straordinario bagaglio di informazioni che portano sulla REGOLAMENTAZIONE DELLA VITA SOCIO-ECONOMICA DI UNA SOCIETA’ AGRICOLA FRA XVII E XIX SECOLO - i CAPITOLI PER LA SALVAGUARDIA DEL MONTENERO [che era una COMUNAGLIA cioè un BOSCO COMUNE e quindi fiscale: le comunità se ne servivano come di un bene pubblico, ne vendevano il legname, ne gestivano la fruizione sempre a favore della comunità] ed ancora il REGOLAMENTO CAMPESTRE DEGLI OTTO LUOGHI.

Nella società rivierasca ponentina tra XV e XVIII sec., una società strettamente legata per vari scopi alla fruizione del legname e comunque alla salvaguardia delle coltivazioni, una cura particolare era data alla prevenzione degli INCENDI e alla lotta contro gli stessi, utilizzando ogni sistema, anche al trasporto dell’acqua su primordiali carri cisterna, efficaci pur se non all’avanguardia come la MACCHINA DI TRADIZIONE CENTROEUROPEA che fu elaborata in questo stesso periodo.
Le pene contro i PIROMANI erano peraltro molto severe come dettano le informazioni date in materia al BRACCIO SECOLARE e soprattutto il contenuto dell’ARTICOLO DEGLI STATUTI CRIMINALI DI GENOVA DEL 1556.

A seconda del dolo e delle conseguenze penali si poteva passare da una pur severa ammenda alla PENA DEL CARCERE alla ben più temuta condanna all’ESILIO -per cui si era proscritti dalla Stato e tornando nascostamente in patria si poteva essere lecitamente uccisi dai CACCIATORI DI TAGLIE - alla “PENA DELLA GALEA” venendo cioè “incatenati” come GALEOTTI - per un tempo bariabile di anni (da uno sin alla reclusione a vita) - sulle GALEE DI CATENA DELLO STATO.

Nulla toglie che in casi estremi si potesse comminare il SUPPLIZIO ESTREMO - nella Repubblica di GENOVA caratterizzato soprattutto, ma non solo, dall’IMPICCAGIONE LENTA -: un po’ per superstizione e tradizione culturale e parecchio per convenienza poliziesca e qual macchina di dissuasione - in quei particolari ma non frequenti “momenti storici” caratterizzati da un incrudelimento della giustizia o da qualche sporadico ritorno pseudoreligioso di “CACCIA ALLE STREGHE” - gli INCENDIARI correvano pure il rischio tremendo di esser inquadrati nel panorama dei CRIMINALI DEL PARANORMALE quali PERPETRATORI DI MALEFICIO INCENDIARIO.

Vista inoltre la crescente importanza commerciale, alimentare e sanitaria dell’AGRUMICOLTURA (dato che il clima favorevole agevolava la coltivazione di cedri, aranci e limoni) negli anni le Ville si dotarono anche di una normativa (o CAPITOLI) idonea a regolare sin nei minimi particolari la cultura degli agrumi e l’attività mercantile loro connessa che, via via, assunse per l’economia locale un ruolo importantissimo.

In base all’ATTO DI FONDAZIONE le Ville avrebbero costituito una Comunità, una sorta di “democratica confederazione”, la cui amministrazione (il cui fine doveva risiedere in un’oculata ed equanime distribuzione del gettito fiscale per le esigenze diverse delle diverse località) risiedeva nell’autorità di un PARLAMENTO composto di membri di provata onestà della Comunità stessa, con ampi poteri in materia economico-fiscale locale. Il PARLAMENTO non aveva peraltro una sede fissa ma si radunava, secondo un processo cronologico ben preciso di rotazione, nelle sedi delle ville principali, di modo che per consuetudini e carisma alla fine la villa sede dell’edificio del PARLAMENTO non potesse - come Ventimiglia - influenzare o variamente lusingare, corrompere od asservire i “parlamentari” meno decisi delle altre località.

Le PROCEDURE DI DIVISIONE si protrassero sin al 1696 e continuaronono nel XVIII sec. per proteste di Ventimiglia la cui situazione degradava a vantaggio delle ville: comunque, alla fine, si tracciarono nuove linee confinarie tra le amministrazioni, fissando pietre di limite a disegno cruciforme (quelle che Ugo Foscolo durante un suo soggiorno ventimigliese, lugubremente, interpretò essere delle tombe sparse sui monti): una prova dei cippi di confine degli “Otto Luoghi” si vede sul Monte Nero di Bordighera (le pietre portano da un lato la sigla 8L [Otto Luoghi] e dall’altra la sigla S [Seborga] e SR [Sanremo].

Le procedure di divisione si protrassero (soprattutto per la delineazione dei confini fra capoluogo e ville) sin al 1696 e continuarono nel XVIII secolo, specie per le proteste avanzate da Ventimiglia la cui situazione socio-economica andava degradando a vantaggio di quella delle ville che invece presero a fiorire. In particolare Bordighera, esente da obblighi fiscali connessi un tempo ai doveri sul “pescato” e sulla “marineria” verso Ventimiglia, migliorò la propria situazione socio-economica e risentì di incremento demografico.

Anche Camporosso risentì favorevolmente di questa nuova situazione, tuttavia i progressi di Bordighera (il cui porto traeva vantaggi dallo sfruttamento dei commerci oltre che dall’attività di pescatori e “coralatori”) si evidenziarono in maniera più evidente rispetto a quelli delle altre località (compresa la pur ricca Camporosso).

Le Ville meno fortunate, come Soldano e Sasso, presero a sospettare che Bordighera, mentre cresceva a dismisura, diventasse una novella Ventimiglia, una villa “matrigna” desiderosa di egemonizzare il Parlamento comunitario delle Ville.

Un momento di attrito tra gli otto borghi si verificò tra 1773 e 1787 quando si sparse la voce di “Incursioni dei Turchi” come si legge tuttora nell’Archivio Comunale di Bordighera, “Atti consulari 1759-1797. I Bordigotti ottennero da Genova che si sistemassero “Per la difesa dei bastimenti nazionali” due cannoni sul Capo della Ruota e due sul Capo S. Ampelio. I Vallecrosini in particolare (ma anche gli abitanti delle altre ville) avrebbero dovuto contribuire alle spese di mantenimento ma, non sentendosi protetti da quelle lontane batterie, si appellarono alla Repubblica per rifiutare un onere di spese che sarebbe andato, secondo loro, a vantaggio di Bordighera. Di fronte all’idea di una Bordighera assimilata al rango di “novella rapace Ventimiglia” si giunse a ventilare l’idea di una nuova separazione, che escludesse la “città delle palme” : molte furono le discussioni, le petizioni, gli scritti pubblicati o pronunciati nel Parlamento della Comunità. La situazione si fece incandescente ma i deputati delle Ville, che si apprestavano a darsi battaglia, furono arrestati sulla soglia di colossali trasformazioni che presto avrebbero trasformato la Francia e l’Europa tutta, quei fermenti rivoluzionari che avrebbero cancellato la Repubblica di Genova e le sue molteplici istituzioni, compreso il secolare “Capitanato di Ventimiglia”.

Così l’esperimento della “Magnifica Comunità degli Otto Luoghi”, durato come si vede poco più di un secolo finì coll’istituzione della “Rivoluzionaria Repubblica Ligure del 1797” , restando tuttavia nella memoria di tutti come un piccolo, tormentato, ma importante documento di antica democrazia rurale.

da Cultura-Barocca


giovedì 21 marzo 2019

Diano Castello (IM)

L'abside della Chiesa di Santa Maria Assunta a Diano Castello - Fonte: Wikipedia
Diano Castello (IM), a prescindere dalla tradizione antica e romana che tratta della STAZIONE DEL LUCUS BORMANI, che peraltro dovette essere anche un BOSCO SACRO, divenne un borgo noto ed anche di rilievo militare e politico soltanto dopo le SCORRERIE DEI SARACENI quando la VITTORIA CRISTIANA segnò, oltre che il trionfo della CHIESA DI ROMA, anche quella della NOBILTA' FEUDALE e non solo dei GRANDI FEUDATARI, ma anche dei nobili locali che, PESANTEMENTE ARMATI, finirono per avvolgere la loro figura di un'aura di invincibilità.
Era abbastanza facile, a capo di pochi armati (a volte soltanto di propri servi) avere la megio su nemici armati alla leggera: sia che fossero le frange meno nobili e quindi meno attrezzate degli eserciti saraceni sia che fossero villani e sudditi, magari in rivolta per qualche ingiustizia patita, e quasi impossibilitati, seppur in tanti a sopraffare un cavaliere catafratto cioè corazzato in ogni parte, compreso il preziosissimo cavallo: la carica della cavalleria catafratta fu per secoli l'antemurale che frenò l'evoluzione delle milizie popolari e borghesi.
I Marchesi di Clavesana o comunque i loro ascendenti avevano partecipato vittoriosamente alla spedizione contro i Saraceni e gli stessi Clavesana orgogliosi di quel passato amavano scorrazzare per i loro possedimenti feudali armati in maniera quasi invulnerabili per le povere armi dei soldati provenienti dalla vita dei campi e che spesso brandivano solo delle falci.
I CLAVESANA inoltre, come tutta la nobiltà locale, potevano fruire di munitissime residenze in CASTELLI difficilmente espugnabili per la limitata potenza degli strumenti d'offesa nel corso degli assedi: ne tenevano naturalmente UNO in DIANO CASTELLO, in pratica la CAPITALE del loro DOMINIO [andato però distrutto per il TERREMOTO DEL 1887 (ne rimangono solo poche strutture ed archi ormai assimilati entro il corpo architettonico di abitazioni successive: peraltro anche la CINTA MURARIA CON LE SUE QUATTRO PORTE che rendeva DIANO CASTELLO un centro pressoché imprendibile è stata annientata dallo stesso terribile sisma] ma certo avevano altre basi militari, ben difese e custodite, come il CASTELLO DI CERVO].
Nonostante le loro armi e le loro previdenze i CLAVESANA non poterono comunque impedire che la popolazione di DIANO CASTELLO sensibile alla nuova filosofia di LIBERO COMUNE si rivoltasse in varie circostanze e poi si rivolgesse ad una lleato tanto potente che contro di esso i Clavesana nulla avrebbero mai potuto.
La nuova presenza politico-militare è quella di GENOVA che nel 1199 assorbe il paese entro il suo DOMINIO.
Gli abitanti di DIANO CASTELLO corrisposero meravigliosamente all'aiuto dei Genovesi e contribuirono con uomini e mezzi all'importante vittoria navale di GENOVA su PISA, la vittoria che diede a GENOVA il ruolo di unica DOMINANTE NEL MAR TIRRENO.
Nel palazzo comunale della cittadina, anche per commemorare quegli antichi cittadini di Diano Castello che come BALESTRIERI contribuirono al trionfo genovese, si conserva tuttora un affresco che celebra appunto la VITTORIA DELLA MELORIA del 1284.
La storia successiva della località si fuse con quella della REPUBBLICA DI GENOVA: nell'ambito del DOMINIO DI TERRAFERMA il borgo si sviluppò come capoluogo della PODESTERIA DI DIANO cioè di un'amministrazione genovese -retta da un PODESTA'- con ampi privilegi locali (la "COMMUNITAS DIANI").
La sostanza di questa "storia genovese" di DIANO CASTELLO - di cui a metà XVIII secolo Matteo  Vinzoni per l'"Atlante de il Dominio della Repubblica" redasse una CARTA TOPOGRAFICA- venne meno nel '700 con l'avverarsi di vicende politico-militari susseguenti ai fatti ed alle conseguenze della RIVOLUZIONE FRANCESE.Bella è la PARROCCHIALE DI DIANO CASTELLO intitolata a S.NICOLA DI BARI e realizzata, dal 1698, su disegno di G.B.Marvaldi: essa presenta, secondo il suo pieno stile barocco, pianta rettangolare breve smussata agli angoli.

Tuttavia la CHIESA più significativa di DIANO CASTELLO è quasi certamente quella di NOSTRA SIGNORA ASSUNTA già datata da Nino Lamboglia al XIII secolo e la cui ABSIDE risulta ad archeggiatura continua con peducci figurati.
Fuori del borgo medievale di DIANO CASTELLO si trova una CHIESA anche più antica di quella dell'ASSUNTA. Si tratta della CHIESA DI S. GIOVANNI, dal suggestivo INTERNO, al cui proposito nel libro "Monumenti medievali della Liguria di Ponente" (Torino, 1970, p.69) Nino Lamboglia scrisse: "...è ora ad unica ampia navata, con l'abside integralmente conservata, al pari delle pareti laterali, fino al tetto, che fino ai restauri di fine Ottocento era un rarissimo esempio di capriata lignea a travi e mensole finemente decorati con colori e motivi medievali; presenta tuttavia due fasi costruttive: una protoromanica, forse del secolo XI, che era a tre navate, ormai rase al suolo e visibili solo nelle absidi esterne, ed una del secolo XII avanzato, a navata unica con la sacrestia ricostruita al posto dell'abside destra".

La ricercatrice Daniela Gandolfi, dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri di Bordighera, ha poi studiato nella pianura che sta sotto il borgo medievale di DIANO CASTELLO i resti di una piccola CHIESA DI S. SIRO, ad aula absidata. Dagli scavi archeologici, oltre a reperti dell'edificio cristiano costituiti da un paramento muarario in piccoli blocchi squadrati di pietra, sono emersi resti di più antiche strutture edili e tra queste è stata segnalata una vasca impermeabilizzata con la tecnica del cocciopesto e quindi messa in collegamento con piccoli canali datati al III secolo d. C., cioè alla buona età imperiale romana. Questa scoperta ha indotto a formulare l'ipotesi che qui fosse sorta una villa rustica romana, cioè un'azienda agricola a manutenzione servile sui cui avanzi sarebbe stato poi eretto l'edificio cristiano.

La Chiesa Parrocchiale di San Nicola di Bari a Diano Castello - Fonte: Wikipedia



 da Cultura-Barocca


lunedì 4 marzo 2019

L'ex Casa Conventuale delle Monache Turchine a Sanremo (IM)


Si legge in un moderno repertorio storico che Nel 1635 le terziarie francescane Angela Bottini e le sorelle Catarina e Maria Anselmo, si propongono di erigere nella loro città un convento femminile assolutamente inedito per il Ponente Ligure, vale a dire una casa religiosa dell'Ordine delle Suore Turchine, che derivano tale loro nome dal colore dello scapolare.
Le tre donne entrano quindi nel Monastero di clausura dell'Annunziata a Genova, nella zona di Castelletto ed in un biennio circa riescono ad accumulare(in oblazioni e soprattutto con il munifico concorso del nobile Silvestro Grimaldi) una consistente somma (circa 4.000 lire di genovini) da destinarsi alla realizzazione dell'istituzione .
Le tre suore sanremasche vengono di fatto ascritte all'Ordine delle Suore Turchine nell'Ottobre del 1637 e finalmente il 7 maggio 1638 ottengono il consenso papale necessario alla fondazione del nuovo convento: il loro ritorno a Sanremo data quindi 26 marzo 1639 momento da cui si dedicano al disbrigo delle necessarie pratiche per la fondazione
.
Il Manoscritto Borea che, fra le diverse inesattezze che lo contraddistinguono, continua però a costituire un fonte diretta ed irrinunciabile per la storia di Sanremo nella sostanza ripropone questa vicenda ma con sostanziali distinguo che vale la pena di produrre.
L'iniziativa di realizzare il convento viene collocata nel 1636 e attribuita sì ad una Maria Anselma (ritenuta però di Saorgio) ma, senza citare le altre donne, si fa cenno, come si legge nella cronaca di tale anno alla collaborazione di un certo numero di Beghine: leggendo si notano altresì discordanze sulla scelta, piuttosto casuale, dell'Ordine del nuovo convento e di quella, piuttosto obbligata, della primigenia sede.
Sulla necessità di erigere una nuova CASA CONVENTUALE delle MONACHE TURCHINE (MONACHE CELESTINE) di Sanremo si legge quindi nella cronaca dell'anno 1639: invece dalla cronaca del 1640 si apprendono dati sulle pratiche burocratiche e notarili per l'acquisto della nuova sede.
Il nuovo grande Convento delle Turchine venne ufficialmente aperto il giorno dell'Ascensione del 14-V-1643 ed il 15 maggio del medesimo anno il vescovo ingauno Costa vi celebrò la prima Messa nel corso della quale vestirono l'abito della clausura le sanremesi Innocenza Maruffa e Paola Girolama Poggi.
La vita del convento fiorì tra l'apprezzamento pubblico sino a metà del XIX secolo quando esso venne soppresso, con la pubblica requisizione dell'immobile, in forza dei dettami delle leggi anticlericali dell'epoca (ancora nel manoscritto Borea si legge come quello delle Turchine, nel 1810 fu uno dei quattro CONVENTI DI RELIGIOSE che l'AMMINISTRAZIONE NAPOLEONICA nella sua RIORGANIZZAZIONE DEL CLERO non provvedette a SOPPRIMERE nel PONENTE DI LIGURIA).
Restituito alla fede il Convento delle Turchine fu ceduto, nel 1881, dal governo al Comune di Sanremo: le religiose che vi erano ospitate ottennero un'indennità di buonuscita ed in loro vece l'edificio accolse gli studenti e gli insegnanti del Regio Liceo Ginnasio intitolato all'astronomo Gian Domenico Cassini.
Le recenti necessità imposero un qualche, pur discutibile stravolgimento dell'edificio, con la realizzazione di un corpo avanzato sulla facciata a mezzogiorno e, nel II dopoguerra, con l' abbattimento del campanile e la costruzione dei piani superiori dell'edificio destinato a dar sede oltre che al Liceo "G. D. Cassini", anche alla Scuola Media "I. Calvino", all'Istituto Tecnico "C. Colombo". la sola scuola che attualmente è accorpata nell'antica casa monastica unitamente al locale IPSIA. Proprio per un'adeguazione alle esigenze di queste due grosse scuole la Cappella monastica venne tagliata orizzontalmente e divisa in due piani. Nel superiore trovarono sistemazione la palestra ed alcune aule dell'IPSIA, mentre nell'inferiore l'area absidale fu occupata dalla Biblioteca dell'Istituto Colombo e l'ingresso della chiesa divenne la moderna aula docenti: dopo siffatte trasformazioni la lettura architettonica non risulta più agevole anche se resta abbastanza semplice individuare la pianta a croce greca, alcune nicchie nelle pareti laterali e le volte a crociera che caratterizzano il primo piano dell'istituto.

da Cultura-Barocca